Noto sin dal Medioevo come Barbesino il nome potrebbe comunque derivare da grignòle, espressione dialettale astigiana per indicarne i vinaccioli, molto numerosi in questa uva. Alcuni dei sinonimi con i quali è anche conosciuto sono: Barbesino, Nebbiolo Rosato, Barbesinone, Rossetto, Verbesino, Balestra, Arlandino, Girondino, Girodino.
Piemontesissimo, la sua origine e la sua attuale principale localizzazione è tra i colli Astigiani ed Alessandrini (Monferrato Casalese), ma è presente anche sporadicamente in alcune zone della provincia di Cuneo e nell’Oltrepò Pavese. È un vino di nicchia, poco conosciuto oltre i confini regionali ma per le sue caratteristiche gustative non omologabili e la sua versatilità a tavola, è oggetto di tenace affezione.
È l’impronta digitale di questo territorio, l’emblema delle esposizioni più vocate e l’orgoglio di chi ancora lo coltiva.
All’inizio del 1900 è considerato fra i principali vitigni piemontesi. I suoi prezzi salgono fino a ottenere le stesse quotazioni del Barolo e del Barbaresco.
Un famoso professore, docente di Viticoltura alla Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, scrive che è un’uva preziosa e che il vino che dà, è fra i migliori del Piemonte: “scelto, leggero, frizzante, di color granata chiaro.”
Negli stessi anni del primo Novecento il Grignolino veniva elogiato come “vino apprezzatissimo, leggero, dal colore rubino chiaro, profumo piacevolissimo del tutto particolare, e gusto sapido, netto, spesso di un amarognolo assai gradevole.” Nel medesimo tempo tuttavia si aggiungeva che si trattava di un vitigno delicato, la cui produzione si andava limitando e mescolando con quella del vitigno Barbera per ottenerne un vino più robusto e più serbevole.
Proprio questa delicatezza fu una delle cause principali della forte diminuzione della superficie coltivata a Grignolino. “Non ha la stessa resa quantitativa della Barbera”, “È soggetto alle malattie”, “Richiede molte cure nella vigna e in cantina”, “Se le annate non sono buone il prodotto ottenuto è irrecuperabile e inutilizzabile”, “È un vino difficile da capire”. Sono frasi che anche oggi pronunciano ripetutamente molti vignaioli dell’Astigiano e dell’Alessandrino, giustificando così la riduzione delle superfici dedicate a questo vitigno.
La vigoria del Grignolino è quindi medio buona e ha una produttività buona ma abbastanza incostante. I grappoli hanno una maturazione medio tardiva che raggiungono nei primi giorni di ottobre.
Vino dalla spiccata personalità, non sempre accomodante. È il vino della passione. Chi visita il Monferrato non può andarsene senza averlo cercato!
La sua lunga storia, l’importanza per il patrimonio vitivinicolo piemontese, lo stretto legame con il territorio astigiano e alessandrino, portano il Grignolino a ottenere la Denominazione d’Origine Controllata. Il riconoscimento ufficiale incoraggia i viticoltori a incrementare nuovamente la coltivazione di questo vitigno più difficile, più delicato, più “da signori” rispetto ad altre varietà più resistenti e con maggiori rese.
L’Astigiano e il Casalese sono le due zone geografiche riconosciute come terre del Grignolino. Queste aree sono contigue e fanno entrambe parte del Monferrato. Ognuna di esse è legata a una specifica denominazione d’origine: “Grignolino d’Asti” e “Grignolino del Monferrato Casalese”. Nelle due denominazioni, ottenute rispettivamente nel 1973 e nel 1974, il Grignolino è vinificato in purezza oppure con al massimo un 10% di Freisa.
I grappoli hanno dimensione medio-grande con forme tendenti al piramidale mentre gli acini, medio-piccoli, tendono alla forma ellittica. Il vitigno, scarsamente resistente alle malattie (tollera bene solo la peronospora), predilige l’esposizione al sole e terreni asciutti e sabbiosi.
Per capirlo fino in fondo bisogna assaggiarlo in purezza: bizzarro, scorbutico, anarchico e individualista.